Le xilografie

L’arte di accompagnare un testo scritto con immagini ha origini estremamente antiche; sin dalla tarda antichità si iniziano ad utilizzare fogli interi per la rappresentazione grafica all’interno di testi scritti.
La xilografia, o incisione a rilievo, permette lo sviluppo di libri illustrati, detti anche libri tabellari, creando un legame strettissimo fra testo e immagini.
Il libro illustrato diventa sempre più importante alla fine del XV° secolo, ricordando come massimi esempi il Liber Chronicarum di Schedel del 1493  e la serie dell’Apocalisse di Dürer del 1499.

1. Hartmann Schedel, Città di Ulma da Liber Chronicarum, 1493.

Le edizioni di Aldo Manuzio in questi anni non lasciano invece ampio spazio alle illustrazioni, fatta eccezione per un’unica opera: l’Hypnerotomachia Poliphili. Considerato il volume illustrato per eccellenza del periodo Rinascimentale, l’Hypnerotomachia è anche uno degli esemplari più discussi della storia del libro in senso assoluto.
L’Hypnerotomachia è un romanzo allegorico in cui la parola scritta e l’immagine raffigurata si fondono in un unico grande linguaggio, amplificando l’elemento comunicativo: le immagini così eleganti e ieratiche, si sposano perfettamente con un registro linguistico non didascalico ma enigmatico.
L’esemplare del 1499 è accompagnato sin dalla sua prima comparsa da ben 172 xilografie, che vanno a decorare il contenuto dell’opera stessa.
L’aura enigmatica che circonda l’Hypnerotomachia si lega alle poche informazioni esistenti: l’autore, per quanto dai più venga considerato Fra Francesco Colonna, è sconosciuto, così come l’autore delle xilografie. Entrambe le questioni hanno sollevato discussioni e portato ad approfondite ricerche, senza mai ottenere delle risposte assolute a tal riguardo.
Le ipotesi attributive delle immagini vedono una rosa ampia di nomi e collocazioni, ma quasi tutti gli studiosi tendono a concordare su un punto: l’autore delle immagini deve aver lavorato a stretto contatto con Aldo Manuzio, non solo per le xilografie in sé, ma anche per gli spazi grafici, gli elementi tipografici, le cornici inserite.
Nonostante l’ipotesi presentata da Maurizio Calvesi, secondo cui l’autore delle immagini sarebbe di ambito romano (e nello specifico della cerchia di Pinturicchio), gli studiosi tendono invece ad identificare una netta matrice veneta nelle xilografie dell’Hypnerotomachia. Nello specifico, l’anonimo disegnatore dimostra di avere una naturalezza nella pratica che un incisore romano del tempo non poteva possedere, mentre nella zona lagunare e lombarda l’esperienza dei libri illustrati si era già diffusa ampiamente, elemento che giustificherebbe le maggiori capacità di un’artista del Nord Italia in questi anni.

3. Autore sconosciuto, Polifilo dormiente da Hypnerotomachia Poliphili, xilografia firmata dal monogrammista -b-, 1499

Tra gli intagliatori veneziani di fine ‘400 oggi conosciamo due nomi: Jacobus Argentoratensis, indicato dal monogramma “IA”, e Hieronymus de Sanctis; a questi due nomi si affiancano delle vere e proprie botteghe xilografiche, tra cui spicca quella del monogrammista “b”, fondamentale negli studi dell’Hypnerotomachia perché compare in due immagini dell’opera. Tale maestro “b” si firma per la prima volta nella Bibbia di Niccolò Malermi, edita nel 1490.

4. Nicolò Malermi, Cattura di Cristo da Bibbia Malermi, incisione, 1492.jpg A lui è attribuito anche il frontespizio con Giudizio Universale de Legendario de Sancti di Jacopo da Varagine del 1492.
Le differenze tra le immagini della Bibbia di Malermi e il Polifilo sono evidenti, ma le due opere vengono eseguite a nove anni di distanza, quindi nulla impedisce di pensare che siano state eseguite nello stesso atelier da una mano che ha vissuto un’evoluzione.
Questo elemento fa capire come sia complesso affrontare la possibilità di individuare un autore delle xilografie dell’Hypnerotomachia: la mancanza di informazioni precise e il mistero che aleggia attorno all’opera non permettono di indicare un’unica personalità con certezza; sono invece emerse varie ipotesi, che qui ci limiteremo a presentare nelle accezioni considerate più veritiere e plausibili, che potenzialmente si possono accostare a quest’opera di inestimabile valore.

BENEDETTO BORDON

Benedetto Bordon nasce a Padova attorno al 1445-1450 e muore a Padova nel 1530.
Proveniente da una famiglia umile, non si sa quasi nulla del suo periodo educativo, mentre ciò che emerge è una forte influenza dal luogo di origine.
Ottiene grande fama presso i suoi contemporanei come miniatore, umanista, geografo e astronomo.
Le prime miniature si datano attorno al 1477, eseguite per il commerciante di libri Peter Ugelheimer, attivo in quel periodo a Venezia con la collaborazione dello stampatore Jenson: ne Decretum gratiani e il Digestum novum di Giustiniano, Benedetto si firma come “Benedictus Patavinus”. Fino alla prima metà degli anni ’80 lavora accanto a Girolamo da Cremona e al Maestro delle Sette Virtù, sulle cui immagini Bordon modella il proprio linguaggio artistico, riprendendo temi iconografici tendenti all’antico e aperture stilistiche che guardano anche al mondo ferrarese.
Nel 1480 Benedetto è certamente a Padova, come testimonia l’atto di matrimonio, dove rimarrà fino al 1492.
Dopodiché si sposta a Venezia, dove passa il resto della sua vita e fonda ad una bottega propria.
Dal 1494 Benedetto si occupa della pubblicazione de I Dialoghi di Luciano, nella cui decorazione dimostra di aver già aggiornato il suo linguaggio, lasciando spazio a paesaggi veneziani e un colore molto più sfumato rispetto al passato. Da questo momento in poi, sviluppa interesse costante per gli elementi pittorici lagunari.
Benedetto Bordon viene identificato dai più come l’autore delle immagini dell’Hypnerotomachia Poliphili, stampata da Aldo Manuzio nel 1499.
Bordon e Manuzio potrebbero essere entrati in contatto tra 1494 e 1495 attraverso il Monastero di S. Nicolò della Lattuga, o S. Nicolò dei Frari: Bordon viene chiamato ad eseguire una serie di antifonari; uno dei dodici frati abitanti in loco era Urbano Bolzanio (1443-1524) o Urbanus Bellunensis, uno dei collaboratori di Aldo Manuzio.

6. Kostantinos Laskaris, Pagina iniziale de Erotemata, 1494-95
Si pensa che le prime opere greche pubblicate da Manuzio tra 1494/95 possano essere state decorate in parte da Bordon, in particolare l’Erotemata di Kostantinos Laskaris, in cui le lettere iniziali dei capitoli richiamano la decorazione floreale di altre opere decorate da Benedetto.
La prima opera pubblicata da Bordon a Venezia di Luciano oggi si trova conservata in una copia a Vienna: presenta delle xilografie in stretta affinità con quelle dell’Hypnerotomachia.
Le immagini della prima opera decorata da Bordon a Venezia, I Dialoghi di Luciano, presentano la stessa impostazione inventiva e stilistica del volume edito da Manuzio.
L’opera di Luciano in realtà sarebbe collegata alla stessa Hypnerotomachia anche da un punto di vista tematico: la versione in questione, infatti, contiene anche una traduzione latina dal titolo Luciano carmina in amorem; più volte si è notato un’influenza di tale opera in quella mandata a stampa da Aldo Manuzio.
Il legame tra Manuzio e Bordon sarebbe inoltre esemplificato anche da elementi che vanno oltre le xilografie: lo stile ricco di ombre, il layout particolarmente bilanciato, nonché le lettere iniziali estremamente simili tra l’Hypnerotomachia e le opere greche stampate da Manuzio.

Negli anni successivi Bordon accetta diverse commissioni, sia laiche che religiose, oltre che commissioni ufficiali, come per il doge Grimani nel 1526.
Nel 1530 Bordon torna a Padova, dove morirà nello stesso anno.

ANDREA MANTEGNA

Andrea Mantegna nasce attorno al 1430 a Isola di Carturo, a nord di Padova.
Si forma nella bottega di Francesco Squarcione, a Padova, dove dal suo maestro assimila l’amore per l’antichità. La sua arte raggiunge livelli ancor più alti in seguito, grazie ai contatti con Giovanni Bellini, di cui sposa la sorella Nicosia.
Mantegna è conosciuto ai più per la carriera pittorica, attraverso cui ha lasciato testimonianze favolose: Camera picta a Castello di San Giorgio a Mantova, Pala San Zeno a Verona, Cristo morto alla Pinacoteca di Brera di Milano sono alcuni tra i grandi esempi della pittura classicista di Andrea Mantegna.
Ciò che qui viene invece preso in considerazione è il percorso grafico dell’artista veneto: si impone infatti agli occhi dei suoi contemporanei attraverso 35 incisioni.
È probabile, dallo stile delle incisioni e dei disegni, che Mantegna abbia iniziato ad incidere attorno agli anni ’60 del ‘400, grazie anche all’influenza di Antonio Pollaiolo.
I due avrebbero potuto conoscersi a Firenze nel 1466: entrambi si impegnano nella tecnica incisoria, forse ritenendo che possa essere più remunerativa del semplice disegno.
Mantegna ben presto assume un incisore professionista per copiare e rendere con tale tecnica i suoi disegni precedenti.
Ciò che fece l’artista veneto va però oltre le convenzioni lavorative: egli costringe il suo lavoratore, Simone di Ardizzoni, a sfruttare il metodo incisorio secondo le necessità di un pittore, come se utilizzasse una penna per incidere.
8. 8. Andrea Mantegna, Madonna con Bambino, incisione a bulino e puntasecca, Graphische Sammlung Albertina, Vienna, 1484-85..jpgI soggetti di Mantegna nella maggior parte dei casi sono mossi da un incredibile senso scultoreo, derivante dal suo amore per l’antichità così come era accaduto in precedenza con Donatello, ed è per questo che nelle sue incisioni troviamo corpi dal forte senso geometrico, di solito reso da torsioni del corpo stesso e delle braccia rispetto al busto.
L’idea che le xilografie dell’Hypnerotomachia Poliphili si possano legare alla figura di Andrea Mantegna è da collegare all’impostazione di alcune delle immagini dell’opera.
In particolare, la somiglianza più netta ed evidente esiste tra una xilografia identificata come Polifilo inginocchiato davanti al trono della regina Eleuteryllide, e un affresco sempre di Mantegna padovano, S. Giacomo davanti ad Erode.

9. Andrea Mantegna, S. Giacomo maggiore davanti ad Erode, Cappella Ovetari, Padova, 1448-57.10. Sconosciuto, Polifilo inginocchiato davanti al trono della regina Eleuteryllide da Hypnerotomachia Poliphili, xilografia, 1499.
L’impostazione mantegnesca delle xilografie è evidente, sia per la creazione spaziale, sia per l’ampio utilizzo di elementi architettonici, ma per la maggior parte degli studiosi questa tipologia può essere stata assorbita dal misterioso autore delle immagini senza che questi sia necessariamente il famoso artista veneto in prima persona.
Nel 1499, anno di pubblicazione dell’Hypnerotomachia, Andrea Mantegna sta lavorando ai Trionfi di Cesare a Mantova, resi in parte pubblici nel 1501.
La carriera dell’artista originario di Isola di Carturo continua per diversi anni presso la corte dei Gonzaga, fino a quando la morte non lo coglie nel 1506.

BENEDETTO MONTAGNA

Benedetto Cincani detto “il Montagna” nasce nel 1480 circa a Vicenza. Figlio del pittore Bartolomeo Montagna e di Paola Crescenzio, le prime notizie certe risalgono al 1504, quando diventa procuratore del padre: come lui, Benedetto diviene pittore, ma anche incisore.
Collabora con Bartolomeo e alla sua morte, nel 1523, ne eredita la bottega a Vicenza.
Molto abile nel disegno, Benedetto Montagna creava scene molto austere e grandiose, con un taglio molto pesante e un disegno poco delicato.
Tra gli artisti veneti Montagna è forse quello maggiormente influenzato dalle opere di Albrecht Dürer ma, a differenza dell’artista tedesco, le sue prime stampe mancano di grazia.
Il primo periodo di fase incisoria è caratterizzato da una tecnica basilare costituita da linee parallele e incrociate con intenzione plastica.
Nelle stampe della fase successiva, invece, prende il sopravvento una forte sensibilità atmosferica, perdendo l’incisività del periodo precedente e seguendo una linea maggiormente pittorica
11. Benedetto Montagna, Sacrificio di Abramo, incisione, 1506-07La sua incisione più famosa, Sacrificio di Abramo, è composta con tratti molto morbidi rispetto a sue opere precedenti.
Il legame che, secondo alcuni studiosi, si viene a creare tra Montagna e l’Hypnerotomachia è anche in questo caso collegato ad ulteriori opere.

12. Benedetto montagna, san giorgio e il drago, 1500 circa.jpg
Nel 1509 a Venezia viene dato a stampa una versione delle Metamorfosi di Ovidio, di cui esistono sedici incisioni lignee in folio escluse dalla versione finale.
Alcune di queste incisioni sarebbero da attribuire a Benedetto Montagna: secondo alcune analisi, tali immagini sarebbero incredibilmente somiglianti alle xilografie dell’Hypnerotomachia.
A questa, che viene considerata una forte prova, si aggiunga che tra le incisioni dell’Hypnerotomachia troviamo due produzioni in cui compaiono le lettere “B.M.”, possibile firma di Benedetto Montagna.

 

CONCLUSIONI
Tra gli altri nomi emersi dalle ipotesi, pochi risultano essere plausibili, nessuno fino ad ora ha permesso di identificare con certezza il misterioso autore delle xilografie.
L’ipotesi più veritiera, in base all’osservazione delle immagini, è che il monogrammista “ia”, autore della maggior parte delle immagini delle Metamorfosi stampate nel 1509 sia lo stesso autore della maggior parte delle xilografie dell’Hypnerotomachia: questo permette di comprendere che, potenzialmente, l’autore delle immagini dell’opera era sicuramente attivo in ambito veneziano all’inizio del XVI secolo; questi lavora ad altre opere, quindi l’Hypnerotomachia non si può considerare come un unicum nella sua produzione e che, probabilmente, era legato all’attività di una bottega.
Inoltre, si può infine aggiungere che il monogrammista “b” è altamente probabile sia un collaboratore del primo monogrammista “ia”, avvalorando quindi l’idea dello sviluppo di un atelier. Ciò, ancora una volta, non fornisce delucidazioni sull’identità dell’autore originario delle immagini, ma permette di ampliare l’idea riguardante lo xilografo, che di conseguenza non necessariamente deve rispondere ad un solo nome.
Ancora oggi il quesito rimane insoluto, il che non fa altro che aumentare l’alone di fascino attorno all’Hypnerotomachia Poliphili e ai suoi autori. L’unica certezza rimasta è che tale opera sia il volume più affascinante del Rinascimento italiano.

 

Maddalena Oldrizzi