Le xilografie

L’arte di accompagnare un testo scritto con immagini ha origini estremamente antiche; sin dalla tarda antichità si iniziano ad utilizzare fogli interi per la rappresentazione grafica all’interno di testi scritti.
La xilografia, o incisione a rilievo, permette lo sviluppo di libri illustrati, detti anche libri tabellari, creando un legame strettissimo fra testo e immagini.
Il libro illustrato diventa sempre più importante alla fine del XV° secolo, ricordando come massimi esempi il Liber Chronicarum di Schedel del 1493  e la serie dell’Apocalisse di Dürer del 1499.

1. Hartmann Schedel, Città di Ulma da Liber Chronicarum, 1493.

Le edizioni di Aldo Manuzio in questi anni non lasciano invece ampio spazio alle illustrazioni, fatta eccezione per un’unica opera: l’Hypnerotomachia Poliphili. Considerato il volume illustrato per eccellenza del periodo Rinascimentale, l’Hypnerotomachia è anche uno degli esemplari più discussi della storia del libro in senso assoluto.
L’Hypnerotomachia è un romanzo allegorico in cui la parola scritta e l’immagine raffigurata si fondono in un unico grande linguaggio, amplificando l’elemento comunicativo: le immagini così eleganti e ieratiche, si sposano perfettamente con un registro linguistico non didascalico ma enigmatico.
L’esemplare del 1499 è accompagnato sin dalla sua prima comparsa da ben 172 xilografie, che vanno a decorare il contenuto dell’opera stessa.
L’aura enigmatica che circonda l’Hypnerotomachia si lega alle poche informazioni esistenti: l’autore, per quanto dai più venga considerato Fra Francesco Colonna, è sconosciuto, così come l’autore delle xilografie. Entrambe le questioni hanno sollevato discussioni e portato ad approfondite ricerche, senza mai ottenere delle risposte assolute a tal riguardo.
Le ipotesi attributive delle immagini vedono una rosa ampia di nomi e collocazioni, ma quasi tutti gli studiosi tendono a concordare su un punto: l’autore delle immagini deve aver lavorato a stretto contatto con Aldo Manuzio, non solo per le xilografie in sé, ma anche per gli spazi grafici, gli elementi tipografici, le cornici inserite.
Nonostante l’ipotesi presentata da Maurizio Calvesi, secondo cui l’autore delle immagini sarebbe di ambito romano (e nello specifico della cerchia di Pinturicchio), gli studiosi tendono invece ad identificare una netta matrice veneta nelle xilografie dell’Hypnerotomachia. Nello specifico, l’anonimo disegnatore dimostra di avere una naturalezza nella pratica che un incisore romano del tempo non poteva possedere, mentre nella zona lagunare e lombarda l’esperienza dei libri illustrati si era già diffusa ampiamente, elemento che giustificherebbe le maggiori capacità di un’artista del Nord Italia in questi anni.

3. Autore sconosciuto, Polifilo dormiente da Hypnerotomachia Poliphili, xilografia firmata dal monogrammista -b-, 1499

Tra gli intagliatori veneziani di fine ‘400 oggi conosciamo due nomi: Jacobus Argentoratensis, indicato dal monogramma “IA”, e Hieronymus de Sanctis; a questi due nomi si affiancano delle vere e proprie botteghe xilografiche, tra cui spicca quella del monogrammista “b”, fondamentale negli studi dell’Hypnerotomachia perché compare in due immagini dell’opera. Tale maestro “b” si firma per la prima volta nella Bibbia di Niccolò Malermi, edita nel 1490.

4. Nicolò Malermi, Cattura di Cristo da Bibbia Malermi, incisione, 1492.jpg A lui è attribuito anche il frontespizio con Giudizio Universale de Legendario de Sancti di Jacopo da Varagine del 1492.
Le differenze tra le immagini della Bibbia di Malermi e il Polifilo sono evidenti, ma le due opere vengono eseguite a nove anni di distanza, quindi nulla impedisce di pensare che siano state eseguite nello stesso atelier da una mano che ha vissuto un’evoluzione.
Questo elemento fa capire come sia complesso affrontare la possibilità di individuare un autore delle xilografie dell’Hypnerotomachia: la mancanza di informazioni precise e il mistero che aleggia attorno all’opera non permettono di indicare un’unica personalità con certezza; sono invece emerse varie ipotesi, che qui ci limiteremo a presentare nelle accezioni considerate più veritiere e plausibili, che potenzialmente si possono accostare a quest’opera di inestimabile valore.

BENEDETTO BORDON

Benedetto Bordon nasce a Padova attorno al 1445-1450 e muore a Padova nel 1530.
Proveniente da una famiglia umile, non si sa quasi nulla del suo periodo educativo, mentre ciò che emerge è una forte influenza dal luogo di origine.
Ottiene grande fama presso i suoi contemporanei come miniatore, umanista, geografo e astronomo.
Le prime miniature si datano attorno al 1477, eseguite per il commerciante di libri Peter Ugelheimer, attivo in quel periodo a Venezia con la collaborazione dello stampatore Jenson: ne Decretum gratiani e il Digestum novum di Giustiniano, Benedetto si firma come “Benedictus Patavinus”. Fino alla prima metà degli anni ’80 lavora accanto a Girolamo da Cremona e al Maestro delle Sette Virtù, sulle cui immagini Bordon modella il proprio linguaggio artistico, riprendendo temi iconografici tendenti all’antico e aperture stilistiche che guardano anche al mondo ferrarese.
Nel 1480 Benedetto è certamente a Padova, come testimonia l’atto di matrimonio, dove rimarrà fino al 1492.
Dopodiché si sposta a Venezia, dove passa il resto della sua vita e fonda ad una bottega propria.
Dal 1494 Benedetto si occupa della pubblicazione de I Dialoghi di Luciano, nella cui decorazione dimostra di aver già aggiornato il suo linguaggio, lasciando spazio a paesaggi veneziani e un colore molto più sfumato rispetto al passato. Da questo momento in poi, sviluppa interesse costante per gli elementi pittorici lagunari.
Benedetto Bordon viene identificato dai più come l’autore delle immagini dell’Hypnerotomachia Poliphili, stampata da Aldo Manuzio nel 1499.
Bordon e Manuzio potrebbero essere entrati in contatto tra 1494 e 1495 attraverso il Monastero di S. Nicolò della Lattuga, o S. Nicolò dei Frari: Bordon viene chiamato ad eseguire una serie di antifonari; uno dei dodici frati abitanti in loco era Urbano Bolzanio (1443-1524) o Urbanus Bellunensis, uno dei collaboratori di Aldo Manuzio.

6. Kostantinos Laskaris, Pagina iniziale de Erotemata, 1494-95
Si pensa che le prime opere greche pubblicate da Manuzio tra 1494/95 possano essere state decorate in parte da Bordon, in particolare l’Erotemata di Kostantinos Laskaris, in cui le lettere iniziali dei capitoli richiamano la decorazione floreale di altre opere decorate da Benedetto.
La prima opera pubblicata da Bordon a Venezia di Luciano oggi si trova conservata in una copia a Vienna: presenta delle xilografie in stretta affinità con quelle dell’Hypnerotomachia.
Le immagini della prima opera decorata da Bordon a Venezia, I Dialoghi di Luciano, presentano la stessa impostazione inventiva e stilistica del volume edito da Manuzio.
L’opera di Luciano in realtà sarebbe collegata alla stessa Hypnerotomachia anche da un punto di vista tematico: la versione in questione, infatti, contiene anche una traduzione latina dal titolo Luciano carmina in amorem; più volte si è notato un’influenza di tale opera in quella mandata a stampa da Aldo Manuzio.
Il legame tra Manuzio e Bordon sarebbe inoltre esemplificato anche da elementi che vanno oltre le xilografie: lo stile ricco di ombre, il layout particolarmente bilanciato, nonché le lettere iniziali estremamente simili tra l’Hypnerotomachia e le opere greche stampate da Manuzio.

Negli anni successivi Bordon accetta diverse commissioni, sia laiche che religiose, oltre che commissioni ufficiali, come per il doge Grimani nel 1526.
Nel 1530 Bordon torna a Padova, dove morirà nello stesso anno.

ANDREA MANTEGNA

Andrea Mantegna nasce attorno al 1430 a Isola di Carturo, a nord di Padova.
Si forma nella bottega di Francesco Squarcione, a Padova, dove dal suo maestro assimila l’amore per l’antichità. La sua arte raggiunge livelli ancor più alti in seguito, grazie ai contatti con Giovanni Bellini, di cui sposa la sorella Nicosia.
Mantegna è conosciuto ai più per la carriera pittorica, attraverso cui ha lasciato testimonianze favolose: Camera picta a Castello di San Giorgio a Mantova, Pala San Zeno a Verona, Cristo morto alla Pinacoteca di Brera di Milano sono alcuni tra i grandi esempi della pittura classicista di Andrea Mantegna.
Ciò che qui viene invece preso in considerazione è il percorso grafico dell’artista veneto: si impone infatti agli occhi dei suoi contemporanei attraverso 35 incisioni.
È probabile, dallo stile delle incisioni e dei disegni, che Mantegna abbia iniziato ad incidere attorno agli anni ’60 del ‘400, grazie anche all’influenza di Antonio Pollaiolo.
I due avrebbero potuto conoscersi a Firenze nel 1466: entrambi si impegnano nella tecnica incisoria, forse ritenendo che possa essere più remunerativa del semplice disegno.
Mantegna ben presto assume un incisore professionista per copiare e rendere con tale tecnica i suoi disegni precedenti.
Ciò che fece l’artista veneto va però oltre le convenzioni lavorative: egli costringe il suo lavoratore, Simone di Ardizzoni, a sfruttare il metodo incisorio secondo le necessità di un pittore, come se utilizzasse una penna per incidere.
8. 8. Andrea Mantegna, Madonna con Bambino, incisione a bulino e puntasecca, Graphische Sammlung Albertina, Vienna, 1484-85..jpgI soggetti di Mantegna nella maggior parte dei casi sono mossi da un incredibile senso scultoreo, derivante dal suo amore per l’antichità così come era accaduto in precedenza con Donatello, ed è per questo che nelle sue incisioni troviamo corpi dal forte senso geometrico, di solito reso da torsioni del corpo stesso e delle braccia rispetto al busto.
L’idea che le xilografie dell’Hypnerotomachia Poliphili si possano legare alla figura di Andrea Mantegna è da collegare all’impostazione di alcune delle immagini dell’opera.
In particolare, la somiglianza più netta ed evidente esiste tra una xilografia identificata come Polifilo inginocchiato davanti al trono della regina Eleuteryllide, e un affresco sempre di Mantegna padovano, S. Giacomo davanti ad Erode.

9. Andrea Mantegna, S. Giacomo maggiore davanti ad Erode, Cappella Ovetari, Padova, 1448-57.10. Sconosciuto, Polifilo inginocchiato davanti al trono della regina Eleuteryllide da Hypnerotomachia Poliphili, xilografia, 1499.
L’impostazione mantegnesca delle xilografie è evidente, sia per la creazione spaziale, sia per l’ampio utilizzo di elementi architettonici, ma per la maggior parte degli studiosi questa tipologia può essere stata assorbita dal misterioso autore delle immagini senza che questi sia necessariamente il famoso artista veneto in prima persona.
Nel 1499, anno di pubblicazione dell’Hypnerotomachia, Andrea Mantegna sta lavorando ai Trionfi di Cesare a Mantova, resi in parte pubblici nel 1501.
La carriera dell’artista originario di Isola di Carturo continua per diversi anni presso la corte dei Gonzaga, fino a quando la morte non lo coglie nel 1506.

BENEDETTO MONTAGNA

Benedetto Cincani detto “il Montagna” nasce nel 1480 circa a Vicenza. Figlio del pittore Bartolomeo Montagna e di Paola Crescenzio, le prime notizie certe risalgono al 1504, quando diventa procuratore del padre: come lui, Benedetto diviene pittore, ma anche incisore.
Collabora con Bartolomeo e alla sua morte, nel 1523, ne eredita la bottega a Vicenza.
Molto abile nel disegno, Benedetto Montagna creava scene molto austere e grandiose, con un taglio molto pesante e un disegno poco delicato.
Tra gli artisti veneti Montagna è forse quello maggiormente influenzato dalle opere di Albrecht Dürer ma, a differenza dell’artista tedesco, le sue prime stampe mancano di grazia.
Il primo periodo di fase incisoria è caratterizzato da una tecnica basilare costituita da linee parallele e incrociate con intenzione plastica.
Nelle stampe della fase successiva, invece, prende il sopravvento una forte sensibilità atmosferica, perdendo l’incisività del periodo precedente e seguendo una linea maggiormente pittorica
11. Benedetto Montagna, Sacrificio di Abramo, incisione, 1506-07La sua incisione più famosa, Sacrificio di Abramo, è composta con tratti molto morbidi rispetto a sue opere precedenti.
Il legame che, secondo alcuni studiosi, si viene a creare tra Montagna e l’Hypnerotomachia è anche in questo caso collegato ad ulteriori opere.

12. Benedetto montagna, san giorgio e il drago, 1500 circa.jpg
Nel 1509 a Venezia viene dato a stampa una versione delle Metamorfosi di Ovidio, di cui esistono sedici incisioni lignee in folio escluse dalla versione finale.
Alcune di queste incisioni sarebbero da attribuire a Benedetto Montagna: secondo alcune analisi, tali immagini sarebbero incredibilmente somiglianti alle xilografie dell’Hypnerotomachia.
A questa, che viene considerata una forte prova, si aggiunga che tra le incisioni dell’Hypnerotomachia troviamo due produzioni in cui compaiono le lettere “B.M.”, possibile firma di Benedetto Montagna.

 

CONCLUSIONI
Tra gli altri nomi emersi dalle ipotesi, pochi risultano essere plausibili, nessuno fino ad ora ha permesso di identificare con certezza il misterioso autore delle xilografie.
L’ipotesi più veritiera, in base all’osservazione delle immagini, è che il monogrammista “ia”, autore della maggior parte delle immagini delle Metamorfosi stampate nel 1509 sia lo stesso autore della maggior parte delle xilografie dell’Hypnerotomachia: questo permette di comprendere che, potenzialmente, l’autore delle immagini dell’opera era sicuramente attivo in ambito veneziano all’inizio del XVI secolo; questi lavora ad altre opere, quindi l’Hypnerotomachia non si può considerare come un unicum nella sua produzione e che, probabilmente, era legato all’attività di una bottega.
Inoltre, si può infine aggiungere che il monogrammista “b” è altamente probabile sia un collaboratore del primo monogrammista “ia”, avvalorando quindi l’idea dello sviluppo di un atelier. Ciò, ancora una volta, non fornisce delucidazioni sull’identità dell’autore originario delle immagini, ma permette di ampliare l’idea riguardante lo xilografo, che di conseguenza non necessariamente deve rispondere ad un solo nome.
Ancora oggi il quesito rimane insoluto, il che non fa altro che aumentare l’alone di fascino attorno all’Hypnerotomachia Poliphili e ai suoi autori. L’unica certezza rimasta è che tale opera sia il volume più affascinante del Rinascimento italiano.

 

Maddalena Oldrizzi

L’autore dell’opera

La questione riguardante l’autore dell’Hypnerotomachia Poliphili è ancora oggi un’incredibile nebulosa.
L’ipotesi più accreditata tra gli studiosi indica Francesco Colonna come autore dell’Hypnerotomachia Poliphili, il meraviglioso volume reso a stampa nel 1499 da Aldo Manuzio.
Colonna nasce nel 1433 circa a Venezia; già 1472 la sua presenza è registrata presso i capitoli conventuali di SS. Giovanni e Paolo a Venezia come sacerdote: si deduce che fosse parte dell’ordine domenicano da un certo periodo di tempo.
Nel 1473 Colonna si laurea in teologia a Padova e, dal 1491, ottiene la cattedra della stessa materia, per quanto le fonti non indichino in quale luogo.
Le informazioni riguardanti Fra’ Francesco Colonna sono molto scarne: lo si ritrova nel maggio 1477, quando viene emanato contro di lui un ordine di espulsione dalla città di Venezia, di cui si ignorano le cause.
Dal 1493, invece, ricompaiono fitte testimonianze della sua presenza presso il convento di SS. Giovanni e Paolo a Venezia, di cui dal 1495 diventa priore.
Nel 1499 esce dalla tipografia di Aldo Manuzio l’opera Hypnerotomachia Poliphili in forma anonima; il romanzo, più che nella forma del testo, è reso famoso come più bella opera tipografica del Rinascimento dalle xilografie di accompagnamento.
L’attribuzione a Francesco Colonna è ancora dubbia: il nome dell’autore non compare all’inizio dell’opera, ma è nascosto con un lungo acrostico creato con le prime lettere dei trentotto capitoli dell’opera: “Poliam frater Franciscus Columna peramavit”.

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Senza l’acrostico, il problema dell’attribuzione sarebbe ancora oggi incredibilmente vasto.
Nel 1500 Colonna ricompare nei documenti, facendo delle richieste per la tua congregazione.
Di nuovo mancano informazioni riguardanti il frate domenicano tra 1512 e 1516, anno in cui torna al convento di S. Giovanni e Paolo; ma pochi mesi dopo viene accusato di immoralità ed esiliato a Treviso.
Torna certamente a Venezia nel 1520, dove morirà nel 1527.

Dagli anni Sessanta ha preso piede la posizione di Maurizio Calvesi, Professore emerito dell’Università della Sapienza di Roma, secondo cui Francesco Colonna avrebbe origini romane e non veneziane, come sostengono i suoi oppositori.
Francesco Colonna romano (1453-1517 circa), signore di Palestrina, rappresenta una delle alternative attributive alla figura di Fra’ Francesco Colonna.
Secondo i documenti, nel 1471 Francesco Colonna viene nominato Canonico secolare presso San Giovanni in Laterano, sotto il pontificato di papa Sisto IV.
In seguito, nel 1473 diviene Canonico secolare di San Pietro: tale nomina si deve ad una volontà papale di valorizzare i territori vaticani.
Sempre nello stesso anno, Colonna viene nominato Protonotario apostolico partecipante, una carica incredibilmente importante poiché gli conferiva un potere maggiori dei vescovi. Tale carica dovette però decadere al matrimonio con Orsina Orsini.
Il Colonna “romano” viene considerato tra i potenziali autori dell’Hypnerotomachia Poliphili.
In particolare, l’ipotesi si basa su un viaggio di Colonna a Venezia avvenuto circa nel 1503; tale posizione sarebbe avvalorata da documenti che mostrerebbero come questo non sia stato né il primo né l’ultimo viaggio di Colonna in laguna.
La posizione di Calvesi si basa sulla negazione della testimonianza dell’Apostolo Zeno, affermando che il documento in questione non sia altro che un falso.
Inoltre, molto di questa posizione si lega alle origini laziali di Aldo Manuzio, cercando di negare la “venezianità” dell’opera.
In realtà, non si comprende perché un personaggio di tale levatura non abbia deciso di apporre il proprio nome sul frontespizio di tale opere. Ancor di più, non si comprende perché i suoi eredi, nonostante il volume sia diventato particolarmente famoso, non abbiano mai rivendicato la paternità del testo per il loro avo.
Il linguaggio utilizzato nell’Hypnerotomachia, inoltre, è più facilmente collegabile ad inflessioni dell’Italia settentrionale, mentre ben più difficili sono collegamenti con il mondo romano.

Tra le ipotesi più affascinanti emerge il nome di Leon Battista Alberti (1404-1472), uno degli umanisti più importanti e famosi del Rinascimento, è stato per lungo tempo inserito nel novero dei potenziali autori dell’Hypnerotomachia Poliphili.
Una delle maggiori sostenitrici di questa teoria è la dottoressa Liane Lefaivre, professoressa presso l’Università di Vienna, la quale afferma che l’acrostico inserito nel testo non sia altro che un sotterfugio per allontanare l’occhio del lettore dalla vera identità dell’autore.

Fig. 1. Leon Battista Alberti, Autoritratto con occhio alato, placchetta in bronzo, 1430-40 circa. Washington, National Gallery of Art.jpg
L’opera sarebbe, secondo la studiosa, una sorta di lascito del grande studioso Alberti all’umanità, creato da una delle menti più brillanti del Rinascimento italiano.
L’elemento che avvicinerebbe l’Alberti all’Hypnerotomachia è la presenza della sigla “B”, apparsa in alcune xilografie: tale consonante è stata interpretata come abbreviazione di “Battista”, così come si era presentato nei suoi Dialoghi.
Inoltre, si sostiene che la personalità poliedrica di Leon Battista Alberti si avvicini molto all’animo tormentato di Polifilo, protagonista dell’opera.
Le obiezioni, anche in questo caso, non mancano: in primis la data di morte dell’Alberti, troppo precoce rispetto alla stampa dell’opera.
In secondo luogo, non si comprende perché avrebbe dovuto mantenere l’anonimato dopo aver già dato vita a scritti particolarmente pungenti.
Secondo ulteriore analisi, Alberti rivendica nel De re aedificatoria il toscano come lingua di studio, ponendosi quindi in termini molto lontani dal linguaggio utilizzato dall’autore dell’Hypnerotomachia.
Infine, nessun autore della caratura intellettuale dell’Alberti si sarebbe citato costantemente come accade in tale opera: i richiami continui al De re aedificatoria, infatti, allontanano in modo definitivo questa affascinante ipotesi.
Altra affascinante ipotesi vede come protagonista Giovanni Pico della Mirandola (1463- 1494), considerato uno dei più influenti umanisti e filosofi del Rinascimento italiano.
In questo caso tale nome è stato presentato in anni recenti da Giovanni Pasetti con il volume Il sogno di Pico.
Proprio la posizione di preminenza nel panorama culturale italiano ha reso Pico uno dei nomi più intriganti da accostare all’Hypnerotomachia Poliphili.
In primis, la sua grande biblioteca (donata secondo testamento al fratello) è prova inconfutabile della sua grande cultura, elemento fondante dell’opera stampata da Manuzio.
In secondo luogo, l’uso fatto da Pico della Mirandola del linguaggio lo renderebbe candidato ideale: egli rappresenterebbe una sorta di ponte linguistico tra i pilastri della letteratura italiana, quali Dante e Petrarca, e il linguaggio rinascimentale, mescolato a trame francesizzanti ed elementi classici.
Inoltre, nella sua opera Orazione sulla dignità dell’uomo (1487), Pico della Mirandola sostiene la posizione di Aristotele, il quale considerava i suoi libri della Metafisica “pubblicati senza essere pubblicati”: l’idea è di presentare le proprie conclusioni non in modo chiaro, bensì celarle a quelle menti non considerabili degne di comprendere la realtà delle cose.
L’Hypnerotomachia Poliphili andrebbe inserita in un tentativo da parte di Pico di superare, da un punto di vista letterario, la grande figura di Boccaccio, da lui considerato il genio assoluto della cultura italiana. Questa ipotesi, a onor del vero, risulta essere sì interessante, ma molto improbabile.
Pico della Mirandola, inoltre, non avrebbe dovuto avere alcun problema a firmare il proprio testo, soprattutto in virtù del rapporto abbastanza stretto con Aldo Manuzio.
In conclusione, una presenza così fitta di potenziali autori fa comprende quanto il dibattito possa essere aperto. In generale, al giorno d’oggi la maggior parte degli studiosi tende ad attribuire l’opera ad un autore di area veneta, principalmente a Fra’ Francesco Colonna.
In questa sede, secondo l’analisi dell’opera stessa, del testo e delle immagini, si ritiene che l’ipotesi di un autore di area veneziana sia preferibile alle altre. Nello specifico, tale idea è avvalorata dalle prove presentate riguardanti anche l’autore delle immagini, sempre proveniente dal Nord Italia.
Nessuno ha una certezza assoluta nell’attribuzione dell’opera, ma tale enigma permette ancora oggi di discutere animatamente di un volume del Quattrocento e, allo stesso tempo, di accrescere il suo fascino agli occhi di tutti, appassionati e non.

 

Maddalena Oldrizzi

 

La fortuna dell’opera

L’Hypnerotomachia Poliphili si distacca completamente dalle altre opere pubblicate da Aldo Manuzio sino al 1499, che rientrano in un progetto editoriale dedicato ai classici greci. L’alone di mistero che aleggia sull’opera ha contribuito a renderla ancora più affascinante.
Gli elementi di maggiore interesse risiedono nell’armonia tipografica dello specchio di stampa, nel raffinato corredo illustrativo per non parlare del seducente ermetismo linguistico e delle ricche ed elaborate simbologie.
In Italia, il libro di Colonna non ha goduto di particolare successo: ristampato nel 1545 a Venezia, in casa degli eredi di Aldo Manuzio, cadde nell’oblio fino al XVII/XVIII secolo.
In Francia la fortuna critica dell’Hypnerotomachia Poliphili è stata al contrario particolarmente vasta: già dal 1546 si conoscono copie tradotte dell’opera: Hypnerotomachie, ou discours du songe de Poliphile, edizione curata da Jean Martin per Jacques Kerver e tradotta da Le Cal de Lenoncourt, mentre altre traduzioni e ristampe si sono succedute con regolarità fino al XIX secolo.

1. Frontespizio dell'edizione francese dell'Hypnerotomachia Poliphili, 1600
La prima traduzione, nello specifico, avviene grazie ai dettami di Etienne Dolet, secondo cinque regole basilari date dallo stesso traduttore. Jean Martin segue quasi certamente i pilastri di Dolet, ma anche la versione francese è avvolta da un alone di mistero che non permette di avere certezze assolute riguardo la provenienza.
Questa prima traduzione, in ogni caso, si presenta in modo differente rispetto all’originale: il testo viene ridotto e semplificato, principalmente per annullare il bilinguismo; le citazioni mitologiche sono spesso abolite, mentre vengono mantenuti i tecnicismi. In generale, però, il volume diventa una sorta di lettura amorosa, seppur con delle limitazioni in ambito erotico, piuttosto che un vero e proprio racconto iniziatico.
Nel 1600 esce la seconda edizione francese della Songe du Poliphile: curata da Béroalde de Verville per l’editore parigino Matthieu Guillemot, questa versione è maggiormente esoterica rispetto alla prima, oltre che estremamente cabalistica: il frontespizio, ricco di simbologia, sembra essere un avvertimento rivolto a re Enrico IV° per evitarne l’omicidio.
In questa edizione vengono mantenute le xilografie dal volume di Jean Martin.
Dalla metà del XVI secolo le imitazioni delle xilografie si diffondono molto in Francia, soprattutto attraverso la tipografia di Lione di Guillaume Rouillé.

2. Pagina dall'Hypnerotomachia and Strife in Love of a Dream,

Una prima edizione inglese è documentata già nel 1592, l’Hypnerotomachia the Strife of Love in a Dreame con la traduzione di Richard Dallington, licenziata a Londra dallo stampatore Simon Waterson. In ambito inglese, l’Hypnerotomachia Poliphili tornerà in auge alla fine dell’Ottocento con una fitta serie di studi critici nel corso del secolo successivo.
La prima edizione, in realtà, non viene tradotta completamente: Richard Dallington rende in lingua inglese circa 2/5 del testo, lasciando per molto tempo all’immaginazione del lettore britannico la conclusione del testo. Solo nel 1890 l’opera viene pubblicata totalmente in inglese.
Le xilografie, di autore sconosciuto anche in questo caso, vennero riadattate anche in Gran Bretagna basandosi sull’edizione aldina del 1499, ma risultarono delle reminiscenze degli originali più che una loro rilettura.

Maddalena Oldrizzi

Il contesto culturale

 

Venezia fu la prima città al mondo a sentire il pieno impatto dell’industria della stampa.
La tipografia si diffonde molto velocemente, poiché le Arti medievali non riuscivano a tenere il passo con il costante sviluppo.
Nel 1469 Giovanni Spira fonda la prima tipografia a Venezia, garantendo all’attività un grande successo negli anni a venire.
Fino al 1490 troviamo circa cento aziende tipografiche a Venezia, di cui ventitré rimangono attive nel decennio successivo.
Le difficoltà maggiori che una nuova attività incontrava erano sostanzialmente due: la prima legata all’investimento iniziale, poiché implicava un’ingente somma di denaro; la seconda più tecnica, cioè la creazione dei caratteri, per cui era necessario un alto livello di specializzazione. Solo un numero esiguo di stampatori possedeva le conoscenze tecniche necessarie per essere autosufficiente.
La forza-lavoro era una delle voci più costose in bottega, e sul maestro-stampatore incombeva sempre la possibilità di complicazioni con gli operai: questi, infatti, con il tempo svilupparono un forte senso di identità legato al loro lavoro, soprattutto perché il maestro era responsabile anche di vitto e alloggio, di solito nella bottega stessa.
Il tempo era il nemico maggiore dello stampatore. Egli doveva far circolare i libri e realizzare profitti in un arco di tempo abbastanza breve da coprire le spese affrontate. Le tipografie si devono quindi confrontare con la variazione della domanda e dell’offerta, cercando di tenere il passo di un mercato imprevedibile.
Per questo motivo, gli stampatori cercavano di ridurre al minimo i rischi economici, creando una varietà incredibile di contratti.
Alcuni stampatori si specializzarono nell’ambito della vendita, come Nicola Jenson e Giovanni di Colonia.

1.Lettere eseguite con i caratteri di Jenson, da una traduzione di Plinio il Vecchio, pubblicato a Venezia nel 1476
Jenson era appoggiato da Johannes Rauchfass e Peter Uglheimer, due mercanti di Francoforte, i quali lo sostennero economicamente, diventando gli altri due pilastri della sua attività tipografica a Venezia.
Giovanni di Colonia, invece, creò la sua attività con un socio di nome Manthen, grazie anche all’aiuto di Madonna Paola, figlia di Antonello da Messina e moglie di Giovanni Spira, primo tipografo di Venezia.
Le due società riuscirono, dagli anni settanta del Quattrocento, ad evitare incroci pericolosi tra loro sul mercato, occupandosi di ambiti diversi, fino alla creazione nel 1480 della “Compagnia”, un’associazione durata cinque anni con la partecipazione di Janson e Giovanni Da Colonia che in seguito, nell’epoca di Aldo Manuzio, rimase come modello di prosperità nell’ambito tipografico.
La cultura si espresse inizialmente in modo negativo nei confronti della stampa, principalmente per pregiudizi e preoccupazioni morali. In realtà, la lettura in volgare di opere devozionali impresse in questi anni suscitò obiezioni legate soprattutto al timore della diffusione di idee ereticali.
Le autorità ecclesiastiche furono costrette a confrontarsi con questo nuovo fenomeno, poiché la parola scritta iniziò ad esercitare un potere incredibile sul lettore.
Negli anni novanta del Quattrocento si inizia a sentire la necessità di nuova linfa vitale per il mondo della stampa a Venezia: questa giunse con la figura di Aldo Manuzio, studioso apprezzato in ambito culturale, che per questo motivo riuscì a collegare il mondo delle lettere con quello della tipografia.
Venezia si impone come centro umanistico, in cui viene lasciato ampio spazio a discipline fondamentali come archeologia, filologia classica e botanica. Le auctoritates letterarie di inizio Cinquecento sono Cicerone, Virgilio, Petrarca e Boccaccio.
Il panorama veneziano permette di capire quali siano i capisaldi culturali di Aldo Manuzio: Francesco Petrarca, vero ispiratore dell’Umanesimo; Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola, grandi pensatori umanisti. Il rapporto tra Aldo e il mondo culturale di Pico è forte: quest’ultimo esortò con costanza Manuzio a portare avanti la sua indagine filosofica; Leon Battista Alberti, il quale incarna agli occhi di Manuzio il vero spirito enciclopedico; Pietro Bembo, miglior rappresentante del gusto cinquecentesco: con lui si sviluppa il vero innalzamento del volgare a lingua letteraria. Il linguaggio è effettivamente uno dei punti cardine nel mondo di Aldo Manuzio, che assieme al dinamismo stesso della lingua rappresenta il pilastro delle convinzioni dello stampatore.
Il legame strettissimo tra Manuzio e i classici greci e latini emerge durante tutta la sua vita: prima durante i suoi studi filosofici e letterari, poi con le scelte editoriali durante la sua attività veneziana. Venezia, del resto, era da sempre considerata il punto di congiunzione con l’Oriente, da un punto di vista economico che culturale.
Con la caduta di Costantinopoli nel 1453, avvenne una vera e propria migrazione di grandi pensatori e studiosi bizantini nella città d’Occidente: la loro presenza fu un elemento cruciale nello sviluppo letterario dell’Umanesimo. In particolare, tali eruditi furono fondamentali per la diffusione di testi originali in lingua greca, sino a quel momento quasi sconosciuti o studiati in versioni tradotte in latino. Nacquero cattedre presso le maggiori università d’Italia per l’insegnamento del greco, diffondendo in modo capillare una cultura fino a quel momento circondata da un’aura di mistero.

2.Cardinale Bessarione, ciclo degli uomini illustri dallo Studiolo di Federico da Montefeltro, Parigi, Museo del Louvre
Tra le figure che contribuirono alla diffusione della lingua e cultura greca in Occidente basti ricordare il cardinale Giovanni Bessarione, proveniente dalla città di Trebisonda, che per tutta la sua vita si impegnò nella valorizzazione della sua cultura originaria.
Questa presenza permette di comprendere il forte interesse per i testi e gli autori classici, in particolare per Platone e soprattutto Aristotele, le cui opere vennero finalmente rese accessibili in greco: lo stesso Aldo Manuzio decise di stampare tutte le opere di Aristotele in lingua originale, così da diffondere il testo in modo puro e far sì che tutti potessero effettivamente comprendere come tale cultura fosse indispensabile per l’apprendimento del latino e dei suoi autori.
Aldo diffuse opere di Orazio, Omero, Sofocle, Dioscuride e Dante con l’idea e la speranza di offrire autorità che dessero una nuova strada da seguire a chi li avesse accolti: tali grandi autori avrebbero creato una sorta di Pantheon letterario a cui fare riferimento nello sviluppo del linguaggio e per il suo utilizzo.
Nel 1501 dedica la sua Grammatica agli insegnanti, nella speranza che questa venisse usata come strumento di sapere e, allo stesso tempo, come promemoria della grande responsabilità che questi avevano nei confronti dei loro allievi.
Aldo si avvicina al mondo della tipografia non come scelta alternativa alla cultura e letteratura, bensì come sua continuazione in un mondo del tutto nuovo.

Maddalena Oldrizzi

Struttura ed estetica tipografica

Fig. 4. Un esempio di impaginazione armonicaL’Hypnerotomachia Poliphili uscì dai torchi di Aldo Manuzio più di 500 anni fa, nel 1499. Esso appartiene dunque alla categoria degli incunaboli, ossia i libri stampati fino al 1501 con il torchio a caratteri mobili. Composto da 234 fogli numerati e da 172 splendide xilografie (incisioni su legno), rappresenta uno dei libri più famosi nella storia della tipografia mondiale e, quindi, tra i più ambiti dai bibliofili.

A un primo sguardo il libro ci appare stranamente familiare: un’impressione che è dovuta alla leggibilità del testo stampato. Infatti il carattere, la struttura della pagina e il modo in cui le parole sono disposte intorno alle figure seguono dei canoni tipografici a cui ormai siamo abituati. Eppure rispetto ad altri incunaboli (ad esempio la celebre Bibbia di Gutenberg), la sua modernità è addirittura disarmante. L’aspetto forse più evidente è l’assenza del carattere gotico – allora molto diffuso anche nei libri a stampa – mutuato dai codici manoscritti di epoca medievale. L’uso del carattere gotico aveva del resto consentito una transizione meno traumatica al libro stampato. Nell’Hypnerotomachia esso invece scompare in favore di quello che è tuttora noto come Bembo, un carattere che prendeva a modello la scrittura degli umanisti italiani. Le sue linee armoniose ma essenziali seguivano le indicazioni di letterati e calligrafi famosi come Francesco Petrarca, Felice Feliciano, Poggio Bracciolini e Leon Battista Alberti, che intendevano ricreare la scrittura usata nell’antichità classica. Il carattere fu introdotto nel 1496 da Manuzio nel De Aetna di Pietro Bembo, da cui il nome, per essere perfezionato in occasione della stampa dell’Hypnerotomachia.

Fig. 4. Un esempio di impaginazione armonica

L’invenzione del carattere“romano” Aldino si deve a Nicholas Jenson, che lo sviluppò a partire dalla scrittura Antiqua, mentre le matrici dei singoli caratteri furono messe a punto da Francesco Biffi, un orafo bolognese che sarebbe diventato l’intagliatore favorito di Aldo. Nel carattere Bembo scomparvero i tratti di congiunzione tra le lettere che invece caratterizzavano la scrittura gotica, rendendolo più agevole alla lettura. Sotto l’aspetto tipografico l’Hypnerotomachia Poliphili rappresenta quindi, allo stesso tempo, un ritorno alla classicità romana e un’apertura notevole verso la modernità.

Un aspetto non secondario è costituito dalla struttura della pagina stampata, la cui estetica non è fine a se stessa, ma funzionale alla lettura del libro. Nell’Hypnerotomachia troviamo infatti una stretta integrazione fra il testo di riferimento l’immagine corrispondente, proponendo così una fusione semantica, oltre che visiva. Il tipografo ha inoltre giocato in modo molto originale con il testo, spesso disponendolo a forma di scudo o tazza, mentre non mancano casi in cui la giustificazione del testo segue le illustrazioni di contorno. Quanto appunto alle xilografie, esse sono talvolta disposte l’una accanto all’altra quasi a ottenere un effetto di racconto dinamico. In altre parole, l’Hypnerotomachia anticipa alcune soluzioni tecniche e visive che saranno adottate più avanti nel cinema o nei racconti a fumetti.

Fig. 6. Un caso curioso di integrazione del testo con l'immagine

È quindi paradossale che un libro così leggibile, stampato con grande cura e ricco di soluzioni innovative sia in fin dei conti scritto in un linguaggio molto complesso. L’Hypnerotomachia Poliphili è infatti uno dei libri più illeggibili mai pubblicati. Le difficoltà partono dal titolo stesso, praticamente impronunciabile. La difficoltà aumenta sfogliando le pagine e cercando di decifrare il significato: oscuro, impenetrabile, a volte sconcertante, pieno di riferimenti reconditi e imbevuto di termini inconsueti, arcaici, reso ancor più complesso dalla prosa tortuosi, prolissi e pletorici. Il libro è uno strano miscuglio di lingue diverse – specialmente il volgare e il latino – che in alcuni casi richiedono le competenze di un esperto poliglotta. Una mescolanza che si osserva anche a livello tipografico, visto che sono impiegati caratteri greci, ebraici e, per la prima volta in un libro occidentale, anche caratteri arabi. Geroglifici egiziani e formule matematiche sembrano comporre infine infine deinfine degli enigmi, ma non costituiscono necessariamente dei rebus da risolvere.

Andrea Polati

Le rovine antiche

Una delle manifestazioni più tipiche del Rinascimento è senza dubbio il culto per le rovine della classicità, un aspetto particolarmente evidente anche nelle xilografie dell’Hypnerotomachia Poliphili, con il paganesimo, sconfitto grazie al messaggio salvifico di Cristo.
Desiderando il trapasso al cristianesimo i monumenti dell’età classica furono riconvertiti in edifici di culto ma più spesso considerati depositi a cielo aperto dove attingere materiali da costruzione, anche per cancellare le tracce di un passato riprovevole e peccaminoso. Analogamente, la presenza di ruderi antichi in scene sacre spesso alludono alla caduta del di rivivere quella stagione, gli umanisti si servirono delle rovine per un recupero filologico del mondo antico. Allo stesso tempo esse costituivano i muti testimoni di un mondo perduto e lontano, che nella loro cadenza avrebbero dovuto dimostrare la fugacità delle cose mondane.

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Il trionfo

Il trionfo, nella sua accezione militare, ebbe la sua massima espressione nell’antica Roma, ed era considerato il massimo onore tributato ad un generale per celebrare una sua vittoria. Il trionfo consisteva in un ricco corteo formato dalle truppe vittoriose con alla testa il triumphator, cioè il trionfatore. Nella storia dell’arte esistono varie raffigurazioni pittoriche e scultoree legate a episodi di questo tipo.
In letteratura ampia risonanza ebbe il poema in terzine di Petrarca de I Trionfi, composto da sei parti, ognuna delle quali dedicata alla celebrazione di un’allegoria specifica. Quest’opera ha costituito d’altronde una fonte di ispirazione per raffigurazioni celebrative, svolte spesso in forma simbolica, di cortei trionfali di divinità e allegorie su carri. L’Hypnerotomachia Poliphili, in questo senso costituisce una delle più significative attestazioni della fortuna di questo tema nella cultura rinascimentale.

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L’esotismo

Il gusto per l’esotismo si manifesta nell’arte occidentale già nel Medioevo, con la riproposizione di motivi ornamentali di origine orientale, mentre non di rado compaiono raffigurati personaggi vestiti con ricche stoffe d’Oriente. La curiosità per la cultura orientale erano del resto alimentati dalla presenza di eserciti cristiani in Terrasanta, ma anche dalle relazioni di viaggio dei mercanti e dei primi esploratori. Il rapporto privilegiato che Venezia vantava con l’Oriente, è testimoniato anche dalle vicende di artisti, come Gentile Bellini, che ebbero modo di visitare quei luoghi. Piramidi e obelischi furono impiegati fin dal Medioevo in diversi contesti, mentre le antiche divinità del pantheon egizio in epoche successive furono mutuate per raffinatissime allegorie, che spesso hanno preso spunto proprio dall’Hypnerotomachia Poliphili. Per Francesco Colonna l’oggetto esotico non risponde tanto al gusto per l’oggetto curioso e lontano, ma spesso la sua apparenza inconsueta nasconde la chiave di accesso per messaggi arcani.

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Il sogno

Il tema del sogno, inteso come rivelazione profetica o premonitrice, è presentato in alcuni episodi delle Sacre Scritture, dai sogni del Faraone interpretati da Giuseppe ebreo a quello di Giacobbe. Manifestazione del mondo divino, i sogni dei Santi hanno avuto celebri traduzioni in pittura. Il sogno, nell’accezione più profana, dagli artisti del Rinascimento fu spesso presentata come visione allucinata, che trasfigura e distorce gli equilibri della mondo reale, rivelandone quindi gli aspetti più reconditi e profondi. La dimensione onirica ha assunto un ruolo essenziale non solo nella storia delle arti visive, ma anche nella letteratura, nella filosofia e nella medicina. L’importanza del sogno nel testo di Francesco Colonna, come esperienza extrasensoriale e visionaria, è testimoniato fin dal titolo, la cui traduzione italiana è appunto “combattimento amoroso, in sogno, di Polifilo”.

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L’amore

La rinascita della filosofia platonica nell’Italia del Rinascimento produsse una straordinaria ripresa della riflessione sul tema dell’amore, intesto come spinta ideale verso la conoscenza e il divino. Il libro di Colonna si inserisce pertanto in questo quadro speculativo, connotato da venature fortemente umanistiche, non senza risvolti più sensuali. Ed è proprio nella pittura veneziana di inizio Cinquecento riscossero ampia fortuna, in particolare, il tema dell’amore virtuoso, espresso di frequente in forma di allegoria, sulla scorta della sempreverde letteratura petrarchesca.
Nonostante questo, gli artisti del Rinascimento affrontarono l’argomento sotto tutte le sue molteplici e ambigue sfumature. L’amore profano trovò interpreti d’eccezione, come Giulio Romano, che si cimentarono in opere di carattere palesemente erotico, spesso con intento ironico e provocatorio . In altri casi era la stessa mitologia classica che forniva agli artisti un comodo pretesto per la rappresentazione di amori mondani con i loro, spesso tragici, epiloghi.

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